domenica 30 maggio 2010

Il fenomeno del fumo in adolescenza

Sospesi tra il mondo dell’infanzia e quello adulto, i ragazzi spesso sperimentano la “prima sigaretta”, simbolo e anticipazione dell’età adulta.
Il fumare è un modo facile per affermarsi, per far vedere a se stessi, al gruppo, al mondo dei grandi, che non si è più bambini.
Da alcune ricerche è emersa infatti la relazione tra il fumo e altri caratteristici atteggiamenti tipici dell’età adulta come i rapporti sessuali o il consumo di alcool.
Si è osservato che fumano di più gli studenti di istituti tecnici e professionali, più vicini al mondo del lavoro e forse per questo ad una “realizzazione adulta” (Bonino e Fraczek, 1996).
Tra gli adolescenti, i non fumatori hanno invece maggiori aspettative per quanto riguarda la carriera scolastica ed anche se risultano più dipendenti dagli adulti, sono sicuramente più protetti da esperienze adulte troppo anticipate.
Una componente da non dimenticare nella motivazione a fumare è anche il piacere del trasgredire, di compiere un atto tipico “dei grandi”, atto che tuttavia si associa spesso alla violazione di alcune norme e all’uso di droghe leggere. Tranquilliziamoci però: l’uso di sigarette non porta necessariamente ad atteggiamenti antisociali.
E come si inizia? Il gruppo ha un ruolo non da poco: l’approvazione degli amici è molto importante in qualsiasi cosa si voglia fare e il fumare non fa eccezione.
I fumatori abituali in genere fanno parte di gruppi di fumatori che tendono ad emarginare i non fumatori e a ricercare amicizie che hanno le loro stesse abitudini. Si è portati a cercare persone simili a noi, che hanno i nostri stessi interessi, che comprendono anche il voler apparire grandi.
Il fumo rappresenta sia l’essere adulto, sia il collante che lega i vari membri del gruppo: in un certo senso il tabacco produce una situazione aggregante.
E la prevenzione? Il governo lancia campagne pubblicitarie, arrivano esperti a scuola, si fa volantinaggio e così via.
Il fatto interessante è che i giovani sono molto informati e sanno perfettamente quali sono le conseguenze negative del fumo per la loro salute.
Questi mezzi di prevenzione risultano però del tutto inefficaci.
Non si può pensare di limitare il fumo nell’adolescenza senza progettare un uguale intervento con i fumatori adulti. Finché il fumare sarà uno dei comportamenti più tipici “dei grandi”, per gli adolescenti continuerà ad essere un comportamento da imitare perché simbolo dell’identità adulta.
Le responsabilità della famiglia e della scuola riguardo a questo problema di grande attualità sono evidenti e se ne parla in continuazione, ma fare leva su di esse non basta.
L’adolescente non è il semplice prodotto dell’educazione, al contrario, è un individuo capace di prendere parte attivamente al processo della propria costruzione personale, è lui in prima persona che ha le capacità di muoversi all’interno dell’ambiente di riferimento.
Il fulcro di un intervento preventivo efficace è dunque la promozione della crescita critica personale dei ragazzi stessi.

Il Concetto di Grounding in Analisi Bioenergetica

Che cosa è?

Il termine “grounding” significa “radicamento” e definisce la capacità di una persona di stare, da un punto di vista fisico, “in contatto” ossia, con i “piedi per terra”, mentre da un punto di vista energetico indica la capacità di mantenere un contatto con la realtà. Perché ciò si realizzi, è indispensabile che l'energia scorra liberamente verso le parti del corpo che sono a contatto diretto con il mondo esterno: organi di senso, braccia e mani, gambe e piedi, pelle e organi sessuali. Più il contatto viene ridotto e più la persona perde il grounding. Il grounding permette quindi alla persona di stare in piedi da adulto responsabile, in contatto interattivo tra corpo e terra, per prendere energia, per scaricare le tensioni e sentire consapevolmente la terra sulla quale poggiamo. Ciò, a sua volta, permette di sentire la stabilità della realtà, la piattaforma dove si costruiscono le fondamenta di ogni individuo. Non è un caso che anche a livello di senso comune si tenda a definire una persona centrata come una persona che ha “i piedi per terra”, mentre una persona che non è nella realtà, come uno che ha “la testa tra le nuvole”. In bioenergetica esistono diversi esercizi per aiutare la persona a radicarsi e gli fanno sperimentare l’importanza di un buon contatto con il suolo al quale effettivamente possiamo abbandonare tutto il peso del corpo. Più il grounding si realizza e più la persona sviluppa un buon contatto con la realtà interna ed esterna e gradualmente può acquisire il diritto di esistere, di occupare un proprio territorio, di esprimersi senza timore che gli altri o gli eventi del mondo lo trasportino come in balia di una tempesta.

Come si realizza e cosa produce?

Il grounding è una posizione estremamente naturale e, proprio per questo, le prime volte può risultare poco comoda!!! Ricorda la posizione assunta dal bambino quando inizia a camminare (proprio perché a maggiore necessità di sentire molto bene il terreno sotto i suoi piedi), ma si ritrova molto nei praticanti di quelli sport che, guarda caso, hanno un estremo bisogno di avere la sensazione del suolo (sciatori, giocatori di tennis, lottatori, ecc…). Consiste nello stare in piedi con le ginocchia flesse e morbide e l'apertura dei piedi paralleli o addirittura con gli alluci lievemente convergenti tra loro, per mantenere le ginocchia in linea. Il bacino è mobile, in posizione comoda situata tra l'antiversione e la retroversione, per favorire il rilassamento della spina dorsale. In questa posizione il respiro tende a divenire più profondo e addominale. Al contrario, più i piedi sono divergenti (a papera) e le ginocchia rigide, più si crea una forte contrazione dell'ano, alla spina dorsale, alla respirazione e al tessuto sottocutaneo; le ginocchia perdono la loro funzione naturale di ammortizzatori del corpo, i piedi a papera generano contrazioni addominali e sfinteriche, mentre le tensioni del tessuto sottocutaneo favoriscono la formazione di cellulite. L’inibizione delle respirazione, poi, diminuisce l’afflusso dell’ossigeno del corpo, riducendo il metabolismo del corpo e l’energia a nostra disposizione. Durante il grounding è possibile percepire delle piccole vibrazioni, che rendono le gambe e il bacino pieni di energia vitale e sciolgono le piccole tensioni accumulate nei distretti muscolari. Attraverso questa posizione è inoltre possibile ottenere molte informazioni sui possibili disturbi fisici che la persona potrebbe manifestare nella quotidianità. Infatti il piede regge l’intero peso del corpo e, una posizione scorretta (arco plantare collassato, eccessivamente sollevato o contratto) può determinare una catena di conseguenze nel resto del corpo (problemi di circolazione, dolori alla schiena, cefalee, ecc…). Il lavoro sul grounding offre quindi la possibilità di iniziare a prenderci cura di noi e degli altri partendo dalle fondamenta e, se vogliamo effettivamente costruire una struttura solida è ovvio che non si possa prescindere da una buona base.

Il legame con la terra nelle culture sciamaniche

Presso i popoli primitivi il legame con la terra ha sempre goduto di una notevole importanza sia nelle leggende che nei rituali. Ancora oggi, presso quelle popolazioni in cui sopravvive una cultura di tipo sciamanica, questo legame è ancora vivo e forte.
Nelle culture primitive lo sciamano è il terapeuta e psicopompo, colui che conosce le tecniche dell’estasi, ossia colui la cui anima può abbandonare impunemente il corpo e portarsi lontano, penetrare negli inferi o salire in cielo. Non va dimenticato che presso i popoli primitivi gli dei della terra non sono necessariamente “cattivi” o “demoniaci”, a volte sono dispettosi o “sanguigni” ma solo perché in essi albergano le passioni umane. Presso gli Yakuti esistono due grandi categorie di divinità, gli dei “di sopra” e quelli “di sotto”, senza che tra essi esista una chiara opposizione. Gli dei “di sopra” sono benevoli ma impassibili, lontani dalle vicende umane. Gli dei “di sotto” sono invece vendicativi, più vicini alla terra e alleati degli uomini. Essi personificano le passioni umane ed è il loro capo, Ulu Toion ad aver creato il primo sciamano ed aver donato agli uomini il fuoco. In queste culture, i sacrifici, gli sposalizi, le nascite e le sepolture non sono appannaggio degli sciamani i quali hanno un compito ben più importante, quello di essere un collegamento. Presso i Tungusi al dio celeste può sacrificare qualsiasi sacerdote ma non gli sciamani i cui riti si svolgono di notte.
Nella filosofia antica la notte ed il buio erano associati all’addome che rappresentava simbolicamente la terra ed il mare. Il diaframma divideva infatti il corpo in due zone. La zona al di sopra del diaframma era collegata alla coscienza e al giorno, cioè alla luce. La zona sottostante apparteneva all’inconscio e alla notte. Il sonno, associato al tramonto del sole, corrispondeva al fluire dell’energia verso il basso, al di sotto del diaframma. E’ questa la dimora degli sciamani e loro compito è la discesa agli inferi, per accompagnare le anime o cercare e recuperare ciò che è andato perduto. La simbologia associata a questo viaggio è presente in molte culture ed è sempre rappresentata come un’impresa difficile che raramente da i risultati sperati. Ricordiamo il mito greco di Orfeo che si avventura negli inferi alla ricerca dell’amata Euridice o quello nordico di Hermodh che a cavallo di Sleipnir, il cavallo a otto zampe di Odino, scende nel regno di Hel alla ricerca di Balder. L’incontro fra queste idee primitive e la religione cristiana portò alla concezione degli abissi sotterranei come luogo di tormento in cui recludere passioni inaccettabili e loro signore fu fatto il diavolo, l’angelo colpevole di essere precipitato prima ancora che negli inferi, nel vortice delle sue passioni. Il diavolo abita nelle viscere della terra a anche nelle viscere dell’addome dove risiede il fuoco del sesso. Cedere alle lusinghe del diavolo significa essere scagliati nell’abisso dove l’io si dissolve nell’esperienza dell’orgasmo.
Ma perché lo sciamano possiede la capacità di avventurarsi in questi luoghi oscuri? Da che deriva la sua conoscenza? In verità egli compie l’impresa per altri perché l’ha già compiuta per se stesso. Lo sciamano è un malato guarito; ha affrontato se stesso scendendo negli abissi della propria anima tracciando la strada attraverso cui condurre gli altri.
Presso molte culture sciamaniche l’iniziazione ai poteri avviene tramite la discesa agli inferi del candidato il quale, una volta giunto a destinazione, viene smembrato, divorato e poi ricomposto. Lo sciamano è insomma colui che non ha avuto paura di abbandonare la sicurezza di ciò che era, ha accettato di mettere in discussione la propria identità per scoprirne una nuova e questo attraverso l’abbandono alla terra, dove risiedono alleati pericolosi eppure potenti per chi è in grado di attingervi. Che si tratti di sogno, malattia o rito, l’elemento iniziatico è sempre lo stesso: morte e resurrezione. La morte simbolica porta sempre conoscenza e intuizione ma necessita anche della forza di dominare ciò che si è scoperto e riportato indietro. Le passioni e la sessualità sono elementi imprescindibili in questo processo. Fra i popoli della Siberia gli sciamani vengono aiutati dalle “spose celesti”, spiriti guida che aiutano l’iniziato nelle esperienze estatiche. La loro presenza si accompagna sempre ad emozioni sessuali. La discesa verso la terra è permeata da elementi erotici e segna il risvegliarsi del “fuoco mistico”. Presso i Cumandi, nella regione di Tomsk, il sacrificio del cavallo, che servirà come cavalcatura per lo sciamano, è accompagnato dall’esibizione di maschere e falli di legno portati da tre giovani: costoro galoppano con il fallo tra le gambe toccando i presenti. Lo Sciamano diviene insomma ponte e catalizzatore, egli conduce l’intera tribù nel mondo oscuro degli spiriti fornendo protezione e guida.
Le “spose celesti” richiamano alla mente il ruolo che fate e semi-dee hanno nell’istruzione o nell’iniziazione degli eroi. Questo elemento comune di “protezione” richiama alla concezione patriarcale della “Grande Madre” dello sciamanesimo siberiano, testimonianza del legame con la terra del matriarcato artico.

Cos'è una Classe di Esercizi di Bioenergetica

La classe di esercizi bioenergetici rientra nell’area della prevenzione e della psicologia della salute.
Scopo degli esercizi bioenergetici è aiutare ad entrare in più profondo contatto col proprio corpo, accrescendo le sensazioni in esso; diventare consapevoli delle tensioni muscolari e lavorare sul movimento e sulla respirazione in modo graduale per favorirne il rilascio.
Sbloccando così l’energia intrappolata nel corpo e lasciandola fluire in modo più libero ne consegue un senso più grande di vitalità che accresce la capacità di sentire piacere, la motilità ed il benessere ad un livello sia muscolare che emozionale.
Durante gli esercizi il conduttore della classe dirige l’attenzione di ogni partecipante sul proprio corpo, su ciò che vi accade e sulle sue sensazioni, e dirigerà questa attenzione senza mai dire ciò che si dovrebbe "sentire" ma semplicemente aiutando ognuno a percepire qualunque sentimento o sensazione egli abbia.
Iniziando così a prendere contatto con il proprio sentire, con la propria realtà interna si compie il primo passo verso l’"essere" ed il relativo "ben-essere".
Gli esercizi infatti non sono mai svolti in senso di attività meccanica ma sempre solo rispetto al sentire nel corpo. Così il fare può sembrare a volte improduttivo, ma questo è un naturale approccio biologico ed energetico (quindi bioenergetico) nel processo di approfondimento della respirazione e nella liberazione dell’energia bloccata nelle tensioni, con il rispetto di tutte le variazioni individuali e dei tempi necessari ad ognuno.
A volte i movimenti sono ampi ed attivi, ma la perfezione della loro esecuzione non è mai l’obiettivo.
Fondamentale al concetto degli esercizi bioenergetici è che, dove c’è energia libera e libero sentire, vi seguiranno movimenti piene di grazia, e fondamentale a questa grazia è il lavoro di grounding.
Essendo una attività di prevenzione, non di cura, non vi sono limitazioni di età e risulta quindi indicata per approfondire il rapporto col proprio corpo, aumentandone il senso di vitalità, di benessere e di piacere.
Le classi di esercizi bioenergetici possono essere condotte solo da persone opportunamente preparate che abbiano conseguito la specifica certificazione con attestato dalle scuole di formazione.

domenica 16 maggio 2010

Quattro chiacchiere sulla psicoterapia

Cos’è la psicoterapia? Cos’è realistico aspettarsi da un percorso di questo tipo e cosa invece non lo è?

Questo articolo, senza avere la pretesa di essere esaustivo, vuole offrire un’occasione di riflessione per cercare di fare chiarezza su di un argomento di cui si dicono molte cose e non tutte vere.

Prima di entrare nel merito è però forse utile chiarire alcuni concetti di base e cioè cos’è la psicologia ed a cosa serve.

La Psicologia è la scienza che studia i processi di organizzazione mentale. La psiche, a livello funzionale, è un sistema organizzativo. E’ un processo superiore che organizza sistemi più semplici.

Alla mia mente arrivano vari stimoli ed emozioni che io organizzo ed a cui do significato in base alle esperienze passate e interpreto in base al mio senso di identità il quale altro non è che la capacità di dare continuità a ciò che sono stato, ciò che sono e ciò che sarò. Cosa fa allora lo psicologo? Lo psicologo, oltre a studiare questi processi organizzativi e a teorizzare modelli comportamentali valuta anche la funzionalità di questi processi così da individuare eventuali comportamenti disadattavi. Se io ho sete è ragionevole pensare che vada in cucina e mi prenda un bicchiere d’acqua. Differente sarebbe se ogni volta che ho sete mi affacciassi alla finestra e cominciassi ad urlare finché il vicino del piano di sopra esasperato non mi tira una secchiata d’acqua. Il risultato è lo stesso, sempre acqua ottengo, ma il dispendio di energie è diverso e le mie possibilità relazionali cambiano. Soprattutto con il vicino. Qui entra in gioco il termine psicoterapia, cioè terapia della psiche.

Nell’immaginario comune la psicoterapia corrisponde alla psicoanalisi, cioè sdraiati su di un lettino con il terapeuta alle nostre spalle. Che magari, mentre noi parliamo, dorme. In realtà la psicoterapia, da Freud, ha fatto molti passi avanti offrendo una serie di paradigmi, tutti altrettanto validi, che fondano le loro basi su teorie a volte lontane dalla psicoanalisi. Certo l’essere umano è uno ma per fare un paragone è come una montagna al centro di un’isola. Per arrivare in cima alla montagna si possono seguire tante strade a seconda del punto in cui si approda. Questo per dire che i punti di vista possono essere diversi anche se l’essere umano è uno.

La psicoterapia è quindi un trattamento sulla vita delle persone attraverso un intervento sugli schemi associativi, comportamentali, affettivi e motori che a livello macroscopico si traduce nella scoperta di altri modi in cui essere. Badate bene che la psicoterapia difficilmente vi cambierà in modo radicale. Fondamentalmente rimarrete voi stessi ma con la grande possibilità di vivere il presente ed il futuro senza essere tiranneggiati dal passato, pur mantenendo le vostre radici.

Il termine psicoterapia è formato da psiche e terapia ad indicare quanto poco di materiale ci sia apparentemente in un intervento di questo tipo. In realtà modificazioni emotive e relazionali corrispondono a modificazioni non solo fisiologiche ma anche nella struttura muscolare e posturale delle persone. Qual è allora il compito dello psicoterapeuta? Lo psicoterapeuta ha un compito variabile, modulabile in relazione ai bisogni del cliente. I numerosi modelli teorici di riferimento offrono strumenti diversi a seconda del livello su cui si vuole intervenire. Pensiamo all’approccio sistemico se prendiamo la persona all’interno di un gruppo sociale come la famiglia, agli approcci analitici se vediamo l’individuo nel suo processo formativo o le terapie strategiche comportamentali se il nostro intento è la risoluzione di specifici sintomi. Alcuni, quando pensano alla psicoterapia, pensano a quindici anni di sedute. Seppur un periodo di tempo così lungo sia alquanto inusuale, c’è però una realtà e cioè che la psicoterapia, se non nelle sue forme più focalizzate e circoscritte, non introduce niente meccanicamente nel modo di pensare del cliente. Pensiamo a quello che siamo e a tutto quello che ci è accaduto nella nostra vita. Ogni momento vissuto, ogni emozione, gioioso o doloroso, ogni esperienza di vita è un mattone che abbiamo posto per essere ciò che siamo. Quanto pensate ci voglia per introdurre un elemento di novità in un sistema di vita che dura da 20 30 o 40 anni? Di certo non un mese. Kopp diceva che “la verità non muta gli atteggiamenti, i fatti non cambiano le persone” questo per dire che affinché una verità diventi parte di noi, deve essere masticata e digerita. Una bistecca può essere nutriente ma guardarla non ci sfama. Finché non ci prendiamo il disturbo di mangiarla, rimane qualcosa di esterno a noi. Si ma allora che fa lo psicoterapeuta? Di certo non da consigli. Se volete consigli su come condurre la vostra vita leggetevi un oroscopo o andate in chiesa. Con tutto il rispetto per gli astrologhi o i preti, ovviamente. La differenza sta tra l’aderire a un modello di convinzioni che possono dare sostegno e contenimento ma che sono preconfezionati ed esterni a noi e la possibilità di assumerci la responsabilità di riscoprire un modo tutto nostro per essere al mondo. Dico riscoprire perché lo psicoterapeuta non crea nulla. Lo psicoterapeuta è un facilitatore, un catalizzatore che aiuta il cliente a riscoprire quelle possibilità che non riesce a vedere, aiutandolo a sviluppare le risorse per sostenerle. Ognuno di noi possiede le risorse per curarsi, il punto è che quando si è dentro un labirinto la via d’uscita non è poi così evidente. Contare su qualcuno che riesca a vedere il labirinto da un punto di vista diverso può essere di grande aiuto. E’ un po’ come nella riabilitazione dopo un brutto incidente. Il fisioterapista può consigliarvi quale percorso seguire senza farvi male ma l’energia deve essere la vostra. Voi scegliete da che parte iniziare a camminare, lo psicoterapeuta vi segue.

Parlare di psicoterapia significa parlare dell’essere umano, dei suoi pensieri e delle sue emozioni. Del suo modo di piangere, ridere, gridare e sussurrare. La psicoterapia riguarda la nostra vita, unica nel suo genere eppure, allo stesso tempo, uguale a quella delle persone che ci passano accanto.

Il rischio che ci assumiamo, nell’intraprendere un viaggio di questo tipo, è quello di farci carico del nostro benessere, della responsabilità di sapere che se continuiamo a rivivere, nel corso della nostra vita, le stesse situazioni o a stringere relazioni con lo stesso tipo di persone è perché in fondo non riusciamo o non vogliamo abbandonare la vecchia strada, che magari ci sta scomoda ma che conosciamo a menadito, in favore di un sentiero che potrebbe offrirci qualcosa di più ma che ci chiede di lasciare le nostre certezze ed avventurarci in un territorio inesplorato. La scelta sta a noi.